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CIBO SPAZZATURA

L’IRRESISTIBILE ASCESA DEL CIBO SPAZZATURA ci ha fatto ingrassare di 5 chili in 30 anni. Dal 1980 aumento di peso record per i bimbi Usa. Lancet: emergenza anche nei Paesi poveri

Lenta, troppo lenta. La reazione del mondo all’epidemia di obesità è di una lentezza inaccettabile. Mentre velocissima è la diffusione di cibi spazzatura, che ne è tra le principali cause. È la sintesi di una raccolta di articoli pubblicata da The Lancet, tra cui figura il primo grande studio sulla qualità dell’alimentazione dei cittadini del mondo.

Per la precisione, si tratta di una ricerca su quattro miliardi e mezzo di adulti che vivono in 187 Paesi, compreso il nostro, e che, ovunque, tra gli scaffali del supermercato trovano inevitabilmente sempre più bibite zuccherate e alimenti ipertrattati.

In realtà, se analizzata su scala mondiale, la situazione si rivela complessa. E il mondo visto dalla bilancia appare soprattutto pieno di contraddizioni. Infatti negli ultimi vent’anni abbiamo globalmente aumentato il consumo di frutta e verdura, ma abbiamo incrementato, e in misura molto superiore, anche il consumo di cosiddetto junk food. Così nei Paesi ricchi oggi si mangia molto meglio e insieme molto peggio che nei Paesi poveri, perché la disponibilità di entrambi i tipi di alimenti è maggiore. E non sorprende che tra i posti dall’alimentazione più sana della Terra troviamo Paesi a basso reddito come Ciad e Mali, sebbene insieme a quelli del Mediterraneo (Turchia e Grecia in testa). Così come troviamo Paesi a basso reddito anche in fondo alla graduatoria, dove in particolare spiccano le ex repubbliche sovietiche: Uzbekistan, Turkmenistan e Kirghizistan.

In fatto di obesità, resta però l’emergenza americana, con i bambini di oggi che pesano in media cinque chili più di trent’anni fa e mangiano almeno 200 chilocalorie al giorno più di quanto non ne mangiassero negli anni Settanta. Mentre si segnala l’inarrestabile avanzata del cibo spazzatura nel nord Europa. Per dire: il mercato delle bevande gassate nel Regno Unito vale più di venti milioni di euro all’anno, quello della cioccolata cinque milioni e mezzo e quello del takeaway otto e mezzo. E così un terzo dei bambini di dieci anni è sovrappeso, mentre a quattro anni lo è già il 20% dei piccoli inglesi.

Però le contraddizioni peggiori si trovano nei Paesi poveri. Qui, nonostante i forti progressi (oggi la fame del mondo interessa 209 milioni di persone in meno rispetto a venti anni fa), la denutrizione affligge ancora un bambino su cinque, ma si osserva anche un aumento dell’obesità. La grande paura è perciò quella che presto ci troveremo con miliardi di esseri umani tirati su a cibo spazzatura, malsano ma drammaticamente economico.

Delineati i problemi, The Lancet prova a proporre qualche soluzione. «Denutrizione e ipernutrizione — spiega Tim Lobstein della World Obesity Federation — ormai hanno molte cause, e molte soluzioni, in comune. Per questo abbiamo bisogno di una politica integrata». Ma, aggiunge l’autrice principale dello speciale, Christina Roberto di Harvard, non è facile: «Da una parte dobbiamo capire che ciascuno di noi ha una qualche responsabilità sulla propria salute, ma dall’altra dobbiamo riconoscere che il mercato insiste su fattori biologici (la preferenza umana verso il dolce), psicologici (il marketing), sociali ed economiche (i costi), che insieme rendono molto più semplice la scelta a favore del cibo spazzatura». Per intervenire, concludono gli autori, c’è quindi bisogno di un pugno di ferro anche sull’industria. Insomma: al limite, spiega uno dei paper della serie, ci vogliono tasse più alte sul junk food e incentivi economici su frutta e verdura, compresi voucher per le famiglie povere. Ma si deve intervenire in fretta: le dispense degli abitanti della Terra devono cambiare quanto prima.

Silvia Bencivelli. Repubblica – 1 marzo 2015

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